Qual è il valore della vita? Sentiamo da qualche anno che "la vita è sacra," ma bisogna mettersi d'accordo su che vita stiamo parlando.
Qualche secolo fa molte navi partivano per commerciare con paesi lontani, per esplorare nuove aree alla ricerca di ricchezze, o per assaltare le navi che intraprendevano quelle imprese. Erano viaggi costosi e spesso il capitale necessario era condiviso, per ridurre i rischi, da facoltosi affaristi che, in piedi sui moli, aspettavano il ritorno dei loro investimenti.
Ma sopra quelle navi c'erano capitani, marinai, mozzi, non meno consci dei loro finanziatori dei rischi a cui andavano incontro. E il rischio era di non tornare.
I primi astronauti in viaggio verso la Luna non potevano certo essere scarichi di adrenalina al pensiero che una qualche parte di quel progetto mastodontico cedesse irreparabilmente. Anche i politici a terra di adrenalina ne avevano, perché se qualcosa fosse andato storto i Russi avrebbero vinto e le loro "teste" sarebbero saltate. Non è curioso dire "teste" quando in realtà quello che saltava era solo il loro lavoro e quello che loro definivano "potere"? Ma le vite perse sarebbero state quelle degli astronauti, che nessuno immagina disperati per questa eventualità.
Marinai e astronauti non erano depressi, in generale. Erano determinati a farcela e a vendere cara la pelle, ma probabilmente non erano intenzionati a rinunciare una volta iniziato il viaggio. Credo possiamo essere sicuri che il valore che associavano alla propria vita era molto alto, anche se un pizzico di incoscienza faceva deprezzarne il valore rispetto, che so, ai finanziatori e politicanti che li ingaggiavano.
Il valore che questi ultimi davano alla vita degli avventurieri era senza dubbio minore di quella che sia gli avventurieri che i finanziatori assegnavano alle loro stesse vite che. Chiaramente le consideravano confrontabili col valore delle merci che sarebbero tornate con le navi, o del prestigio internazionale ottenuto mettendo il primo piede sul suolo di un corpo extraterrestre.
Quindi, che senso ha dire che la vita è sacra? Mi pare che la risposta dipenda da quale vita (e di chi) stiamo parlando. Pare sia giusto che ognuno assegni il valore della propria vita, mentre appare meno sensato che siano altri ad assegnarcelo. Proprio per questo i marinai e gli astronauti ci stanno simpatici, mentre gli affaristi e i politici molto meno. I primi hanno deciso che il valore della loro vita era minore del valore dell'impresa, per qualche motivo.
Oggi pare che, a parole, il valore della vita degli altri sia altissimo, tanto che "safety first" (scritto sulle tendine della mia macchina) diventa una catena, un vincolo, più che una conquista. Oggi al cittadino si da il diritto di essere pigro, stupido, grasso, superficiale, ma guai a lui se prova a farsi male. La cultura della paura permette di vendere ogni cosa faccia sentire sicuro, la cultura della supremazia permette di vendere ogni cosa ci faccia sentire migliori. Ma mi chiedo se questo sentirsi così unici da non pensare di poter essere rimpiazzati, e così preziosi da non poter essere minacciati, sia forse uno degli aspetti che rendono le vite meno interessanti e avvincenti per le stesse persone che le vivono. Che sia perché non c'è più niente da scoprire che non ci sono più così tante imprese memorabili, o che sia perché a nessuno viene in mente o è autorizzato a tentarle?
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