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Thursday, February 23, 2012

Chi siamo?

Presa dal Corriere del Ticino del 22 Feb. 2012
Questo post parte da una profonda irritazione che mi ha dato un articolo sul Corriere del Ticino del 22 Febbraio 2012. In genere tendo a non scrivere per sfogo, ma stavolta va così.

Come potete leggere nel sottotitolo dell'articolo, Andy Warhol è definito un pubblicitario. Questo è come definire oggi Einstein un impiegato dell'ufficio brevetti di Berna, o come dire che Tom Waits è un portinaio, Paolo Conte è un avvocato, che Michael Bublé è un pescatore... Beh, questa è l'eccezione...

Che cosa siamo? Nella società industriale (e post) è molto consueto presentarsi con frasi del tipo: "sono un assicuratore," "sono una professoressa," "sono un imprenditore", etc. In una realtà fantozziana la ricerca della propria identità termina con l'acquisizione del posto fisso. Quando il posto fisso è perso l'identità è persa, o rimane appiccicata a un passato imperfetto. "Ero un camionista." Curioso il fatto che il passato imperfetto si chiami così per il fatto che ci si dovrebbe riferire, con questo tempo verbale, a eventi e situazioni che non si sono concluse. Bello no? I bambini usano l'imperfetto per denotare una situazione di gioco mentre il gioco è in corso ("facciamo finta che ero ..."), negli adulti che perdono il lavoro è un appliglio le cui resistenza e necessità sono tutte da verificare.

Quindi per il giornalista che ha scritto l'articolo, Warhol è qualcosa solo fintanto che ha un lavoro, mentre quando fa semplicemente l'artista no. Lo dicono sempre i genitori: "smettila di fare castelli in aria e trovati un lavoro". (Più semplicemente è probabile che gli facesse schifo Warhol e che lo abbiano obbligato a scriverne).

Io propenderei a definire Warhol artista semplicemente perché è sicuramente più vicino a quello che lui sentiva di essere. Certo non si sarebbe definito seriamente pubblicitario. La questione dell'identità è comunque seria, e non si dovrebbe chiedere a qualcuno "chi sei?". Cosa si potrebbe risponcere? Personalmente non saprei cosa dire e, dopo aver balbettato qualcosa, l'ansia mi farebbe estrarre una mitraglietta e uccidere gli astanti in un delilrio di vaneggiamenti.

Ammetto che queste considerazioni sono dettate dal fatto che non me la sono mai sentita di identificarmi con quello che facevo (e faccio), il che può essere visto sia come un baluardo di integrità che come la predestinazione all'insuccesso. Non ho mai raggiunto l'autoconsapevolezza fantozziana, che per quanto mi riguarda potrebbe anche essere il più alto traguardo della vita, come dire che la rivoluzione industriale ci ha portato tutti più vicini all'illuminazione buddista. Ritengo però più probabile che non sia così.

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