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Monday, October 25, 2010

La parola del giorno

Per la usuale rubrica di questo blog, "la parola del giorno", oggi ci occuperemo di rarefazione, parola dal significato quasi impalpabile, hahaha

Perché ho scelto questa come parola del giorno? Fondamentalmente perché non ho nessuna parola del giorno in questo blog, quindi l'averne scelta una oggi ha due significati: il primo è che questa diventa la parola di oggi, ma non vuol dire che ieri ce ne fosse una né domani un'altra. Il secondo, diretta conseguenza del primo, è che si crea, come da un dio un po' annoiato, un non-sense, che ha lo scopo di rendere questo post il manifesto di una presa di posizione sul nulla. Lo rende addirittura un banale calembour del pensiero. Il poter argomentare più a fondo sul concetto sarebbe interessante, ma porterebbe a conclusioni poco utili, e la maggior parte delle persone non le considererebbero degne di alcun ché, anche se il gioco per arrivarci sarebbe, mi permetto, affascinante. Ampliare a dismisura l'ampolla tanto da renderla vuota, gli atomi dell'aria che non arriverebbero più a toccarsi, poterli vedere ed esaminare uno per uno nei loro moti e caratteri.

Per portare alle conclusioni finali una riflessione così servirebbe una mente preparata, forse più sofisticata della mia, una mente allenata alla filosofia e magari pure all'arte, certamente alla retorica. Io quella mente non ce l'ho, quindi lascio questo inizio di ragionamento, abbozzo di analisi, embrione di teoria, batuffolo di elucubrazione, senza curarmi più di tanto delle conseguenze (che immagino devastanti) di questa necessità.

Sunday, October 10, 2010

Politica in cucina


Stavo cercando di scrostare la padella dall'uovo cucinato un paio di giorni fa. Non riuscivo a evitare gli schizzi d'acqua che dal bordo della pentola finivano sul ripiano, e più cercavo soluzioni al problema, più ogni goccia che finiva fuori del lavandino mi faceva incazzare. Se va avanti così dovrò pulire il ripiano in tre, forse due settimane.

Capisco che questo possa sembrare un'inezia, ma stava proprio diventando un'ossessione. Mi pareva che l'unica soluzione fosse di tornare alla contrapposizione originale tra rivoluzionari e reazionari. La discussione politica oggi sì concentra solo su questioni personali, dettagli in cui non sì capisce il fondamento metodologico, proposte di soluzioni a problemi che non sottintendono nessun modello di società, che poi implicherebbe una visione strategica che va al di là dell'accontentare poteri di tipo lobbistico per salvaguardare posizioni individuali.

La politica dovrebbe sfruttare la contrapposizione di frange conservatrici, il cui obbiettivo, in ogni istante, è quello di rafforzare il sistema corrente, e frange progressiste, che vogliono cambiare i fondamenti della società per bilanciarne i poteri su equilibri diversi.

Non sarebbe una politica bipartitica, ma bipolare sì. E probabilmente i progressisti sarebbero naturalmente più litigiosi dei conservatori.

Non riuscendo ad eliminare le croste di albume dal pentolino, decisi allora di usarlo lo stesso per cucinare, che tanto la cottura i germi li uccide in ogni caso.

Friday, October 8, 2010

Sono solo canzonette

Nel 1956 Dorina Giorno cantava "Que sera sera" nel film "l'uomo che sapeva troppo" di Alfredo Spissaalcasso (sono di spirito autarchico oggi, sarà la stanchezza). Il testo recitava più meno così:

"When I was just a little girl
I asked my mother, what will I be
Will I be pretty, will I be rich
Here's what she said to me.

Que Sera, Sera,
Whatever will be, will be
The future's not ours, to see
Que Sera, Sera
What will be, will be."

Ma erano gli anni '50, c'era ottimismo, gli stati uniti avevano appena sganciato una bomba atomica uccidendo centinaia di migliaia di persone, e i comunisti sarebbero presto stati sconfitti. Mi chiedo come avrebbe risposto quella premurosa madre negli anni successivi.

Probabilmente negli anni '60 avrebbe detto qualcosa del tipo:

"Que sera, sera,
Whatver's in your fantasy
Love everyone you see
What you smoke, sera
What will be, will be."

Pare un'ipotesi ragionevole? Gli anni '70 li vedo più così:

"El sera, sera,
There will be hotels on mars
Airplains instead of cars
El sera, sera
It will be, will be."

Anni '80:

"Se sera, sera,
Beware of HIV
The future sure I won't see
Now pass me my Crack
Se sera sera"

Anni '90:

"Que Sera, Sera,
The Ozone is getting thin
You're lucky if you don't lose your skin
Que Sera, Sera
(and by the way) You'd better stay in”

Anni '00

"Que Sera, Sera,
We'll export democracy
To save our fat lazy asses
I know this is not a rhyme
But what the f**k”

Mi spingerei nel futuro: anni '10

“Que sera, sera
Whatever make it a tweet
if they “like it” they will click
Que sera, sera
Po-ost it, post it”

Quel che sarà, sarà.

Tuesday, October 5, 2010

Pensieri sconnessi

Leggo Barthes che mi parla di fotografia. Parla sempre della morte e del fatto che la morte assomiglia alla fotografia, come somiglia al teatro e, mi immagino, alla sua vita. Da poco era morta sua madre, perdita grave, da lì a poco sarebbe morto lui. Mi immagino un suicidio, una morte ad effetto, una morte rituale, coreografata, teatrale. Fotografica.

Mi pare un motivo un po' ossessivo, questo della morte, ma nientemeno vi rispecchio delle verità incontestabili, mi ci identifico. E' come se mi si risvegliassero dei ricordi, dei pensieri, alcune aree del mio cervello si accendono con differente intensità e, a seconda dell'intensità, ci trovo più o meno di me stesso. Mi chiedo: se tutte le aree del mio cervello si accendessero con la stessa intensità ad ogni concetto, mi identificherei pienamente in ogni cosa? Ogni idea, ogni concetto, ogni immagine mi apparirebbe talmente -e incondizionatamente- vera e commovente che non potrei smettere di piangere. E ridere. Sembrerei un pazzo. Sono fortunato da essere un maschio e ad avere un cervello semplice, che si accende sì e no quando accendo la playstation o la TV. E quando si parla di sesso, chiaro, nessuno è perfetto. Le donne hanno più connessioni nel cervello, e quindi mi immagino abbiano più regioni che si accendono contemporaneamente, si commuovono e capiscono più di noi maschi. Mi chiedo se è così.

Intanto torno a pensieri più utili, e scopro che Barthes è morto investito dal camioncino di una lavanderia. Tutte le aree del cervello che prima mi si erano accese adesso si spengono. Black out. Niente romanticismo. Non aveva di certo intravisto il suo destino, altrimenti si sarebbe depresso e non avrebbe scritto un bel niente. Probabilmente era pure felice. Quindi era solo molto intelligente e profondo, ma non aveva nessun carattere eroico? Forse sì. Ma il libro "La Camera Chiara" va letto, specie se vi piace le fotografia.

Saturday, July 31, 2010

Riflessioni da doccia (giustificare il conto dell'acqua)

Una mucca è un animale sociale, tende a unirsi a un branco dove si sente sicura e a proprio agio. L'essere umano è uguale a una mucca sotto questo aspetto, solo che la coscienza dell'essere umano è più sofisticata di quella di una mucca (lo assumo come ipotesi). Il cervello umano non solo porta gli impulsi esterni e le emozioni all'attenzione della coscienza, ma riesce a collegare a questi la memoria e a formulare pensieri. Come la mucca non trova nulla di strano a unirsi a un branco e a seguirne le sorti perché sente che è quello che deve fare, così l'essere umano non può che dare un giudizio positivo sulla propria coscienza, almeno in prima istanza, fino a che qualcosa in futuro evidenzi un vizio, e allora ci si rende conto di avere sbagliato.
Il giudizio positivo sulla coscienza è fondamentale alla sopravvivenza della specie, se non fosse così le mucche non starebbero in branco e gli uomini non formerebbero società, non si accoppierebbero, non si innamorerebbero così facilmente, etc. Quando diciamo "vivi le tue emozioni," stiamo dicendo di prendere quello che arriva alla nostra coscienza e considerarlo vero senza intermediazioni. Quando il senso di incompletezza che ci assale lo consideriamo un segnale venuto dall'esterno, allora magari diventiamo religiosi. La prova del giudizio positivo sta nella semplice osservazione che tendiamo a credere alle nostre emozioni: "sento rabbia quindi sono arrabbiato," "sento paura e quindi sono impaurito."
Noi crediamo nella nostra coscienza e non possiamo non farlo! "Credere" è una parola molto importante nelle società umane. Le società umane si basano su verità delle coscienze individuali, su una diffusa condivisione (le eccezioni ci sono e sono importanti, v. seguito) di quelli che chiamiamo princìpi. In altri termini li possiamo considerare miti (prendo la parola mito da qui, che vidi mesi fa).
Come possiamo individuare i miti della società? La mia conclusione è che i miti si possono individuare negli argomenti di cui è molto difficile parlare in contesti sociali. Non sto parlando di censura o di difficoltà tecniche, intendo argomenti che se affrontati suscitano più imbarazzo che animare una conversazione costruttiva. Il mito dell'amore, il mito dell'uguaglianza, il mito del lavoro. I miti che formano la società e che la condizionano. Il mito della famiglia viene visto come fondativo, ma una società basata fortemente sul mito della famiglia non discute delle violenze familiari e tende a non le frenarle.
Esistono sempre, nelle società umane, degli individui che mettono in discussione i miti. Beh, ogni individuo lo fa, ma alcuni lo fanno di professione, scrivono libri, fomentano agitazioni, producono opere d'arte. Questi individui possono avere il potere di abbassare il livello di autocensura sui miti, permettendo la loro discussione, tanto da poter portare i miti stessi a sparire dalla società. Non credo serva fare esempi di questo fenomeno.
La società che risulta dalla distruzione di alcuni miti può essere una società con meno miti, ma non può, chiaramente, essere una società senza miti. Il mito che la società sia buona (in qualche senso) deve per forza esistere, altrimenti la società stessa si disgrega.
Possono questi individui che distruggono i miti essere attori politici? Mi pare di poter dire con una certa confidenza che no, non lo possono essere. Un movimento politico che si prefigge l'abbattimento di un mito non ha successo. Il mito deve essere già distrutto, o barcollante, affinché la politica possa eliminare il mito anche nella giurisdizione. L'esempio attuale è il mito del matrimonio omosessuale. Per capire come questo mito fosse così radicato nella società, basta pensare che molte delle leggi esistenti non specificano che il matrimonio deve avvenire tra un uomo e una donna. Era ovvio che fosse così, e non si poteva nemmeno ipotizzare altrimenti, se non per scherzo (ma quante cose iniziano per scherzo?). Solo oggi questo mito non è così radicato e la politica se ne può occupare, con più o meno successo. Ma il cammino è iniziato, nella società futura ci saranno i matrimoni omosessuali, e forse il concetto stesso di matrimonio cambierà dal punto di vista legislativo.
A grandi linee, tracciate con l'accetta come piace ai serial killer, un individuo ha tre scelte: essere un distruttore di miti, come un artista per esempio, essere un politico, o non essere e semplicemente esistere (lo so, un po' forte ma il motivo sarà chiaro nella frase successiva, e comunque preferisco la scelte di campo). Io penso di essere, per costruzione, un distruttore.



Saturday, January 16, 2010

Metafore, interpretazioni e insegnamenti

In questi anni millenaristi mi è venuta in mente una cosa. Se in questo momento (o meglio, in un momento posteriore alla fine di questo post) tutte le stelle dell'universo si spegnessero, si verificherebbe un fenomeno piuttosto strano. Dopo un secondo vedremmo spegnersi la Luna, dopo otto minuti vedremmo spegnersi il Sole. Dopo quattro anni vedremmo spegnersi Alfa Centauri, dopo otto anni toccherebbe a Sirio, dopo 100.000 anni all'intera Via Lattea.
Voi direte: "E bravo Piero Angela. L'hai finito Quark? Lo fai perché ci credi o giusto così per scassarci i Maroni..."
Prima di tutto, non è che obbligo nessuno a leggere (il ché è confermato dall'affluenza di lettori di questo blog), secondo, non è necessario offendere e terzo, lasciatemi finire...
Facendo anche una stima ottimistica, il dato per me impressionante è che la vita nel nostro pianeta scomparirebbe completamente in ben meno di quattro anni (a occhio e croce), quindi non sapremmo mai che l'intero Universo si è spento, moriremmo in massa bestemmiando al Sole e maledicendo chi ha siglato il contratto d'affitto con Dio.
Cosa possiamo desumere da questo? Ad esempio mi viene in mente che le nostre conclusioni non sono sempre azzeccate e che dobbiamo accettare con umiltà i nostri limiti. Oppure, il Grande Prestigiatore ha fatto in modo di essere imperscrutabile e ci ha fornito una realtà in cui non poter intuire il suo Piano (che giusto perché sono gentile chiamo "Piano B"). Forse che se l'Universo si stancasse di noi per come trattiamo il pianeta, si sbarazzerebbe della razza umana senza dare spiegazioni. Ancora: mi viene in mente che le nostre conclusioni non sono sempre azzeccate, quindi tanto vale spararle grosse e cercare di guadagnarne qualcosa, per esempio, se il sole si spegne, andiamo in giro a dire che tutto l'Universo si è spento e facciamoci pagare per riaccenderlo. La nostra ricchezza durerebbe quel che durerebbe, ma potremmo almeno comprarci una Ferrari e fare i grossi tra tutti quegli emaciati esseri morenti.
Ma credo che l'insegnamento finale di questa storia è che non c'è nulla da imparare. Possiamo tirare fuori metafore contraddittorie da ogni evento, e interpretare in una chiave o in un'altra ogni cosa, ma alla fine rimangono solo i fatti. Cosa ci insegna l'Universo spegnendosi? Niente. Il fenomeno avverrebbe, ogni uomo comincerebbe a comportarsi nel modo più misero consentito dalla propria coscienza, e PUFF, buonanotte, whatever.

Tuesday, November 3, 2009

Le Micromachine e la metafisica delle cose comuni

Il pensiero si ferma, ad un certo punto, accettando certe entità come fondamentali (che si chiamerebbero noumeni). La descrizione del reale diventa quindi la narrazione delle relazioni tra le entità fondamentali.
Il pensiero scientifico si distingue da quello religioso (teologico) perché finisce inesorabilmente per interrogarsi sulla natura stessa delle entità (temporaneamente) fondamentali. Il pensiero teologico difficilmente si avventura nella critica dei fondamentali, in quanto, per un assunto piuttosto arbitrario (l'identificazione del divino con l'umano), i fondamentali sono prestabiliti nei termini (tipicamente antiquati) di un linguaggio per ipotesi esatto.
Nel film "Constanine," il protagonista chiede a un personaggio di uscire dall'appartamento e chiudere la porta completamente, pena non riuscire a connettersi con qualche altra dimensione. Ma cosa vuol dire "chiusa?" Cos'è la "porta?" Queste domande non risalgono alla mente dei personaggi (e forse nemmeno in quella degli sceneggiatori e scrittori della storia). Nella realtà del film, la "porta" e l'"appartamento" sono entità fondamentali, privi di una struttura, incapaci di essere qualcos'altro. Poco importa se la porta viene da un legno tagliato in una foresta o in un'altra, o se qualcuno vi abbia inciso un cuore o un "666" sulla corteccia prima che l'albero venisse abbattuto. Allo stesso modo, "chiuso" è un concetto che si presta a parecchie variazioni: "chiuso a chiave" è più chiuso di "chiuso e basta"? Se la porta e il suo battente sono composti di atomi, possiamo definire in qualche modo il concetto di "chiusura?" In una interpretazione quantistica dovremmo davvero distinguere il "dentro" e il "fuori" ("O DENTRO O FORA! BASTA CHE TE XARI CHEA PORTA!!" diceva mia mamma esasperata)? Alla scala di Plank ha senso parlare di "porta" e "battente," o dovremmo vedere l'una solo in relazione all'altro e viceversa?
Ecco la domanda che tutti vi sarete fatti almeno una volta: cos'è una porta alla scala di Plank?
Insomma, siamo davvero sicuri che gli angeli e i demoni del film agiscano in una realtà le cui entità fondamentali sono le stesse dei personaggi terreni? Non so voi ma io non ci dormo la notte.
Ma sto temporeggiando. Cosa centrano le Micromachine?
Nel videogioco omonimo, un veicolo che usce dai bordi dello schermo perde un punto. Prima di far partire il gioco lo schermo è quella superficie dove vediamo immagini che mutano, quando il gioco parte vediamo una realtà in cui lo spazio e il tempo mutano in funzione della posizione sullo schermo della macchinina in testa alla gara. Siamo di fronte a una realtà alternativa con differenti entità fondamentali.
Questo, credo, è il motivo per cui, alla presentazione dell'idea del gioco, siamo colti dallo stesso tipo di sorpresa che si ha quando ci si approccia a una teoria fisica che sposta, o cambia, i fondamentali acquisiti del reale. Il nostro cervello viene sottoposto a un certo tipo di sussulto che fa cambiare il punto di vista. Da quel momento in poi la realtà sarà determinata dalla posizione dello schermo su un ambiente virtuale, per poi tornare, un po' meno saldamente, al reale fatto di porte, aperte o (esclusivo) chiuse, e di appartamenti. Nelle teorie fisiche, a volte, non si può tornare indietro così facilmente, o lo si fa accettando l'approssimazione che necessariamente il quotidiano ci impone.