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Friday, June 17, 2011

(Ribadire l'ovvio) Sulle prerogative della stampa

Credo di avere già accennato a quella che io considero la natura della sensazione del vero. In due parole ci sembra vero ciò che risuona (non uso questa parola a caso) nella nostra coscienza, un po' come riesce a fare la poesia.

Proviamo piacere ogni volta che cogliamo qualcuna di queste verità visto che o ci illuminano o ci confortano (in quanto riteniamo di "averle pensate anche noi, magari in termini diversi"). Una simile sensazione l'ho avuta ieri leggendo il titolo di un quotidiano.

Il titolo era (più o meno): "I social network sono utilizzati per promuovere se stessi." Leggendolo mi sono detto "ovvio, è come fanno efficacemente alcuni delle mie conoscenze che allargando la propria rete di conoscenze aumentano la possibilità di avere ingaggi." Si tratta per loro di lavori da free-lance. Chiedendomi perché trovavo questo titolo così ovvio ho realizzato una cosa che sapevo già, che avevo già colto ma mai formulato così chiaramente, una sensazione di verità.

L'informazione mass-mediatica non produce tendenze ma, al più le amplifica. Che la gente usi i social network per promuoversi (ho anche una bella interpretazione narrativa che posterò prima o poi in questo blog) mi sembrava ovvia perché è un uso che conosco e che so quindi essere abbastanza ovvio, il fatto che la stampa ci sia arrivata solo ora dimostra che non è la stampa a inventare né le tecnologie né il loro uso. Nemmeno gli ideatori di facebook immaginavano un uso del genere, all'inizio, è stata una certa percentuale delle persone a usare questa tecnologia in quel modo e per quello scopo. La stampa ha il potere però di amplificare i fenomeni, portarli a conoscenza ad altri che possono imparare ora a promuoversi, partendo secondi e mediamente con minore innovazione, potendo solo influenzarli per l'impatto che ha su eventuali masse critiche.

Era solo così, per condividere una sensazione di verità.

Sunday, May 1, 2011

Corti, cortigiani, schiavisti e schiavi

Divertente l'aforisma di Wilde che dice che i banchieri a cena parlano di arte e gli artisti di soldi. Vorrei fare un post politico, polemico, quasi programmatico, in questo primo Maggio un po' snaturato.

L'arte nella società di oggi non ha una natura rituale, né produce utilità. L'espressione di sé è fine a se stessa e ha successo solo quando riesce ad arredare le molte stanze di poche corti, dove oziosi signori e compiacenti cortigiani gozzovigliano inebriati, oppure quando riescono a entrare in qualche esibizione, importante, mondiale, curata per non turbare troppo le coscienze e compiacere qualche altra, momentanea, categoria.

I nuovi schiavi si compiacciono dei loro acquisti, i nuovi schiavisti li convincono che così sono liberi. I signori guadagnano in possedimenti che non sono territoriali ma di coscienze, di consenso, di impunità, di reverenza, di potere. Gli schiavisti non sono i padroni, sono i creativi, quelli che sfruttano le tecniche dell'arte per stupire e convincere. Non più fruste ma trenta secondi di fantasia di qualcun altro. Gli schiavisti, come sempre, sono schiavi anche loro, solo con delle colpe in più.

Il sistema regge perché i signori ci hanno convinto che esistono delle scatole in cui possiamo categorizzare ogni cosa. L'arte è in una scatola di plastica colorata, il lavoro in una di metallo, il divertimento in una di gomma, la felicità in una di vetro e la libertà in una di carta. La vita, ci dicono, non è una, è fatta di fasi e di momenti, ognuna col suo equipaggiamento da acquistare in un megastore appropriatamente istituito.

Tempo è che si torni a far vibrare le coscienze, a svegliarle, per accelerare il momento in cui tutto si sommuoverà e cadranno teste e si alzeranno bandiere, in attesa che poi altri signori, altri cortigiani, altri schiavi, popolino il mondo. Ma per un piccolo lasso essere davvero umanità.

Saturday, February 19, 2011

L'Emancipazione dell'Alternativa

(Post Sperimentale)
A volte un titolo ben piazzato cancella ogni necessità di aggiunte e spiegazioni. L'idea era di fare una considerazione, pomposa e vastamente inutile, sulla sperimentazione come mezzo necessario alla comprensione,  apprendere per dissezione oltre che esperire tout court [1]. Impadronirsi attraverso la comprensione profonda delle parti compositive e delle loro relazioni [2], di concetti, linguaggi, strumenti [3]. Poi, illuminato dal titolo da dare al post, ho visto l'inutilità di aggiungere altro. La comprensione profonda porta alla consapevolezza [4] e, quindi, alla contemplazione (sia come individuazione di una possibilità che come ammirazione estatica[5]) di alternative [6], possibili o immaginarie a seconda dei mezzi [7] e della volontà [8]. Possiamo inventare una macchina per le alternative. A volte il semplice accostamento di elementi sintattici crea concetti a sé stanti, capaci di sorreggersi sulle proprie verità, per loro natura parziali, ma nonostante tutto inequivocabili [9]. In una incredibile coincidenza, ne stanno parlando proprio adesso alla radio a proposito della metafisica di De Chirico, in cui l'assemblaggio di elementi concreti in combinazioni inusuali, crea la sua famosa metafisica. Più banalmente e più spesso crea solo momenti di verità plausibile, ma a volte sufficiente e autosufficiente. La combinazione casuale di elementi sintattici genera anche quelle che ho chiamato, qui sopra, le esperienze tout court. La loro dissezione consente il raggiungimento di una più profonda conoscenza e, quindi di maggiore consapevolezza.


[1] Intendo la differenza tra il "fare una esperienza nuova" e l'"investigare i dettagli di esperienza note al fine di comprenderle meglio." Fare una esperienza nuova è solo l'inizio, il primo passo, un quasi niente.

[2] Le relazioni sono la sorgente di quella che viene chiamata, a mio avviso troppo approssimativamente, l'"emergenza," cioè il fenomeno che è più della somma delle sue parti.

[3] Diciamo che i linguaggi sono gli aspetti che mi interessano di più, e che includono tutti gli altri. Un linguaggio serve a comunicare. Meglio si conosce il linguaggio, più precisa è la comunicazione. Per linguaggio si intende, chiaramente, il linguaggio della pittura, della fotografia, della scrittura, della conversazione, etc. Ogni linguaggio è derivato da una tecnica. Impadronirsi di una tecnica permette l'uso del linguaggio. Non è automatico che conoscere la tecnica permetta di comunicare, ma senza la sua conoscenza non si può comunicare.

[4] In inglese "awareness," il rendersi conto, il sentire l'esistenza. Un concetto forse panteistico.

[5] Contemplare significa, infatti, entrambe le cose. La contemplazione del primo tipo è l'alimento dell'anima attraverso l'infusione di un'idea. La bellezza è la forma dell'idea. La bellezza è un concetto relativo che dipende in modo esclusivo dall'osservatore. L'uso della metafora visuale è limitativa, il bello giunge da tutti i sensi. Il bello e la consapevolezza sono talmente legati che l'uno non esiste senza l'altra.

[6] Conoscendo un linguaggio si possono immaginare i suoi usi, nuovi, alternativi. L'uso del linguaggio è sempre allo scopo di comunicare. Sarà la scelta individuale a determinare quale messaggio mandare, ma se si conosce il linguaggio, le alternative sono sempre visibili, non si manda mai il messaggio perché questo è l'unico possibile. Se questo fosse il caso, non esisterebbe messaggio, o per dirla in altri termini, il messaggio non porterebbe nessuna informazione.

[7] Ogni linguaggio ha dei limiti tecnici, come un quadro non emette suoni, o una musica non ha forma tridimensionale. Inoltre, i costi (fatica, tempo, soldi, vita) limitano l'uso della tecnica e quindi le possibilità del linguaggio.

[8] In [6] si nomina la scelta individuale, quindi la volontà.

[9] Elementi sintattici del linguaggio, quindi i risultati dell'applicazione della tecnica. Conoscere questi elementi permette di generare messaggi.

Friday, February 18, 2011

Risparmio energetico nell'ordine naturale

C'è una legge fisica che sembra regnare in tutti i sistemi macroscopici. Dice che, se lasciato libero, un sistema tende alla condizione di minima energia. Pur essendo un enunciato molto semplice, un principio come questo  mette sotto una prospettiva comune molti fenomeni, dalla semplice dinamica dei corpi, alla vita. Si tratta di un principio globale, cioè che si applica a un sistema complessivo.

Si può trasporre questa legge energetica in una legge economica, non nel senso di economia del denaro, ma economia delle risorse. Un branco di erbivori, il mio esempio favorito di società, esiste perché la struttura consente a questi animali di sopravvivere al meglio nell'ambiente (naturale) in cui vivono. Difendersi meglio dagli attacchi, proteggere i piccoli, etc.

Un altro esempio che si può fare dell'applicazione di questa legge si può avere considerando che il numero di erbivori supera di parecchio il numero di carnivori in ogni regione del pianeta. Sì può spiegare facilmente il fenomeno osservando che il per produrre un chilo di carne di erbivoro servono 10 chili di vegetazione, e per produrre 1 chilo di carnivoro servono 10 chili di erbivoro (i numeri sono indicativi). Quindi esistono più consumatori di erba che di carne, per una questione energetica del sistema planetario.

Si può ipotizzare che gli esseri umani si siano sempre organizzati in strutture sociali per motivi energetico/economici, con l'addizionale vantaggio culturale che ha reso possibile la divisione del lavoro. La società sarebbe quindi una necessità dettata dall'ottimizzazione delle risorse e la minimizzazione dell'energia (in senso fisico).

Pare che la società umana, però, forse sopravvalutando natura del proprio sviluppo, chiamato recentemente progresso, abbia sovvertito (localmente, la legge globale funziona ancora, l'energia diminuisce, non aumenta) la legge fisica, puntando a un incremento dell'uso di energia, che possiamo anche considerare furto sotto molti punti di vista. La decrescita felice, sottostante alla giornata di m'illumino di meno, è anche un modo di riconquistare un rapporto più naturale con la natura stessa. questo sarebbe un bel obiettivo per le nuove generazioni (ma anche la mia) per orientare lo sviluppo futuro (che forse potremmo chiamare ancora progresso) verso una dimensione più umana.

Non so quanto questo ragionamento sia una provocazione, forse meno di quanto si possa credere.

Friday, January 28, 2011

I Fondamentali

Travolti dal rumore non riusciamo a discutere delle questioni nel merito. Ormai pensiamo per slogan. Quindi ho deciso di non fare parte del coro e non solo andare al nocciolo delle questioni, ma di tentare (con quali risultati non so) di stravolgere le idee, smontarle e vedere di cosa sono fatte.

Così colgo l'occasione per spingermi oltre, e mi pongo domande più radicali. Per esempio, misurare il benessere considerandolo proporzionale al PIL è giusto? Lo Stato ha convenienza a vendere le sigarette ai cittadini, in quanto, oltre che ricevere incassi diretti dalla vendita del tabacco, aumenteranno le spese mediche, quindi il PIL. Produrre i pezzi di auto in Polonia, assemblarli in Sicilia, Commercializzarli in Piemonte produce molto PIL, oltre che smog. Produce (direttamente) anche benessere per l'individuo?

Il diritto di voto è davvero universale? Tutte le legislazioni in merito, almeno fino a qualche decennio fa, richiedevano l'alfabetizzazione ai votanti, cioè un minimo di capacità (almeno in potenza) di informarsi, e quindi formasi un giudizio. Oggi che siamo tutti alfabetizzati, e che il mondo è così complicato, e che gli Italiani si dimostrano così ignoranti di fronte a concetti fondamentali di libertà, costituzione, democrazia, non sarebbe il caso di dare il diritto di voto solo a chi supera un esame di conoscenza, per esempio, della Costituzione e del suo significato?

Il mio solito tema: invece che fare regole per complicare la vita alla gente comune e non a chi le leggi non le seguirebbe comunque, facciamo delle regole che spingano le persone a comportarsi in modo onesto? Qualche idea: facciamo che si possano scaricare dalle tasse molte spese, quelle del dentista per esempio, così quando ci chiede se vogliamo la ricevuta, gli diciamo "sì, certo." Invece di lamentarci dei concorsi truccati, facciamo che chi fa assumere qualcuno se ne assume la responsabilità (mica che devono essere sepolti assieme, per carità, ma una decurtazione dello stipendio, per esempio), così magari non assumerà il cugino.

In ogni periodo storico ci sono i nobili, quelli che accumulano e si godono la ricchezza. Al giorno d'oggi sono i manager, che arrivano a condotte schifose perché magari hanno un buon pacchetto azioni dell'azienda in cui lavorano. (Sapete, no? Se i bonus arrivano in base alle azioni, quello che importa è far salire le azioni, e se annunciare licenziamenti (e farli) fa alzare il titolo, al manager conviene personalmente farlo.) Se abbassiamo i compensi dei manager, però, spunterà una nuova categoria che si ingrasserà sulle spalle degli altri. Compriamo cellulari a tutto andare, capi firmati, ci indebitiamo, solo per arricchire pochi "monarchi," che ci guardano come il macellaio guarda il manzo. Conquistiamo la dignità, impossessiamoci di noi stessi, riconosciamo la nostra umanità e comprendiamo la nostra essenza. Non cerchiamo di essere come loro, ma sentiamo la nostra unicità, apprendiamo la consapevolezza di esistere, troviamo uno scopo che ci realizzi, invece che lobotomizzarci seguendo i modelli che ci vogliono propinare per poterci sfruttare illudendoci.

Uhmm... troppo lungo, eh?

Wednesday, January 26, 2011

Né/Sia di Destra né/sia di Sinistra

Mi riprometto sempre di non perdere il mio tempo a ripetere cose che sono note da decenni, se non secoli. Ma pare che in un'Italia anestetizzata da una rimbombante dittatura della (presunta) maggioranza, anche le cose più ovvie sono bellamente dimenticate, o bollate in vario modo: comuniste, di sinistra, finiane, antiberlusconiane, anti-italiane, e una serie di epiteti meno ideologici e più offensivi.

Faccio un esempio: i miei amici francesi non fanno che ripetermi che "se una persona è senza un tetto, è anche un problema mio." La tentazione di etichettare il discorso come ideologico, comunista, utopico è forte, ma sarebbe solo il risultato di una analisi banale, che mi vergogno quasi a fare, non fosse che credo che anche le analisi banali, al giorno d'oggi, serve ripeterle.

Il ragionamento è questo: se ci sono persone senza casa, senza soldi, senza futuro, questo avrà implicazioni sulla società futura, sull'economia (non comprano e non producono), sulla sicurezza (saranno indotti a delinquere), sulla politica (spesso con norme repressive), e così via. Anche a essere individualisti e guardare solo alla nostra famiglia, affrontare il problema sul lungo termine conviene, ne vale del futuro nostro, dei nostri figli e dei nostri nipoti. E non centrano niente discorsi di solidarietà, uguaglianza, giustizia, temi tabù nel berlusconismo, centri solo tu, il tuo futuro, e quello della tua famiglia.

Si tratta, in soldoni, di puntare alla pace sociale, che è l'unico modo di realizzare, o approssimare, quello che la democrazia è, ovvero un sistema che permette il cambiamento senza violenza.

Mi scuso per questa serie di banalità.

Saturday, December 4, 2010

Proposta per l'Università (update 1)

Sono stanco di sentire i politici parlare di riforme e finire per proporre piccoli cambiamenti e idee che non hanno la riforma solo nel titolo. Una riforma deve, specie in Italia, essere disegnata per rendere convenienti comportamenti virtuosi, e non nell'impedire comportamenti dannosi al sistema, con regole facilmente eludibili. Questo dovrebbe essere, secondo me, lo scopo di qualsiasi legge riformatrice. Qui di seguito butto giù alcune idee per l'Università. Leggendo solo le parti in grassetto si ha la visione completa dell'idea.

1) Piano strategico di Ateneo, Facoltà e Dipartimento. Con tutte le riunioni più o meno inutili che si fanno, propongo delle riunioni ai diversi livelli per definire le direzioni strategiche della ricerca e della didattica. Tutti quelli che ci lavorano discutono e votano quali debbano essere le direzioni di ricerca future che indirizzeranno le future assunzioni.

2) Processo di reclutamento. Userò la parola "concorso", anche se mi fa schifo perché ricorda le troppe ingiustizie ne nella Pubblica Amministrazione si sono perpetrate ai danni di uno stato che non poteva -e forse non voleva- controllare. Date le direzioni strategiche prese dei dipartimenti, valutate formalmente, ma non nella sostanza, da facoltà e atenei, data la disponibilità dei fondi, pubblica un bando (alla fine vedrete che anche la chiamata diretta funzionerebbe lo stesso nel sistema che propongo, ma visto che l'Italia non ama i cambiamenti troppo radicali mi limito al bando pubblico) per l'assunzione della figura richiesta. L'intervista o prova di concorso viene svolta da una commissione decisa dal Dipartimento (scegliere a caso la gente non fa che mettere le decisioni in mano a persone che non hanno interesse nella decisione ne la conoscenza della strategia in cui l'assunzione è inserita). La decisione della commissione viene valutata dal Dipartimento in un altra riunione in cui, con votazione, si giudica la decisione della commissione.

Il bando viene fatto indicando il settore scientifico disciplinare ma con la specifica della specializzazione e di titoli richiesti. Oggi si vedono concorsi nominalmente su un settore, ma che nascondono una decisione strategica e quindi si fanno salti mortali per giustificare le scelte, portando, dal punto di vista legislativo, a concorsi truccati.

3) Inversione del cofinanziamento. Le Università attualmente non hanno interesse a finanziare grossi progetti, né, di conseguenza, ad assumere persone eccellenti, perché ogni progetto che riceve finanziamenti é cofinanziato dall'Ateneo stesso, che quindi vede il progetto come una spesa. Si vedono scene pietose di professori che chiedono al rettore se l'Università è disponibile a mettere i soldi per un progetto di portata decente. I soldi per un progetto vanno in percentuale ai ricercatori che lo hanno proposto (le percentuali si decidono, ma sono di solito sull'80% se non sbaglio), il resto va agli atenei e i dipartimenti, che quindi avrebbero la convenienza a finanziarli.

4) Responsabilizzazione. Ogni anno, ricercatori, professori associati e professori ordinari sono sottoposti a valutazione, in base a un piano annuale discusso e sottoscritto con il Dipartimento e valutato e giudicato da Facoltà e Atenei. Se i parametri decisi non sono stati rispettati (i parametri minimi devono arrivare "dall'alto" per evitate le "cricche"), si provvede d'ufficio a decurtare stipendi e anche a licenziare. Un professore universitario non è un operaio alla catena di montaggio, che deve giustamente essere difeso, è uno che deve difendere ed rappresentare l'eccellenza. Se non lo fa va a casa.

5) No posto fisso inteso come inattaccabile, e no precariato forzato, come questi politucoli continuano a proporre (sei anni e poi sei fuori ' che idiozia degna di una che è stata sfiduciata per manifesta incapacità da presidente del consiglio comunale di Desenzano), ma valutazione continuativa sulla didattica e sulla ricerca fatta localmente e democraticamente con voto (palese o segreto).


6) Distribuzione dei fondi tramite decisioni della direzione dell'Università, al vaglio e critica di Facoltà e Dipartimenti. Basta distribuzione a pioggia per accontentare tutti i "colleghi".


7) Dettagli: Propongo tre livelli di ricerca/docenza: professori assistente, associato e ordinario con obbligatorietà di insegnamento e di ricerca. Si istituiscono figure di "lettori" ad esclusivo uso didattico (con contratti temporanei o no, dipende dal taglio dell'università, se di ricerca o didattica).


Voglio mandare questa proposta a partiti politici (quindi non al PdL) perché anche la proposta del PD che ho visto non mi soddisfa, non rende il sistema Universitario competitivo, anche se ha delle buone idee. Vi pregherei di darmi suggerimenti e consigli per renderla migliore. Se mi verranno in mente altri punti (sto scrivendo di getto incazzato da quello che sento dire) li aggiungerò qui.