I commenti dei prossimi giorni saranno sull'astensione al voto amministrativo (Maggio 2013), e saranno grida di allarme, ipocrite autocritiche, buoni propositi, e un bel po' di propaganda e idealismo da quattro soldi che fanno tanto presa sulle masse.
Da un certo punti di vista però potrebbe non essere affatto un dato negativo. Se le persone con poco interesse nella politica non votano mi pare solo un bene. Se poi queste persone sono quelle che non sono in grado di distinguere le posizioni in campo, per quanto siano deprimenti di questi tempi, ancora meglio.
Non è che il mito di una società uniforme e preparata, fatta da cittadini consapevoli e responsabili, si sia sciolto come le ideologie che li inseguivano? A me sembra di sì. Forse è una specie di oligarchia, la più ampia possibile, deve essere responsabile delle decisioni. Chissà, forse lo snobismo con cui guardiamo le elezioni americane, non ci permette di capire che negli Stati Uniti le cose funzionano mediamente bene perché molte persone non votano.
Da un po' sostengo l'idea che il diritto al voto vada ottenuto con un esame opportuno (saper leggere e scrivere non basta più ai nostri giorni). Ma forse non è necessario pensare a un sistema che apparirebbe antidemocratico agli occhi di chi ai voti degli ignoranti ambisce, forse basta che le persone si autoescludano dal voto se non seriamente interessate. Escludere i perditempo è richiesto per vendere una collezione di fumetti, perché non per decidere le responsabilità di governo?
Sono sempre più convinto che l'improvvisazione sia fondamentale nella vita. Anche il piano più dettagliato e curato, alla fine, è parte da una improvvisazione ed evolve con improvvisazioni. Qui raccolgo delle improvvisazioni a tema sociale e politico che magari qualcuno leggerà prima o poi.
Monday, May 27, 2013
Thursday, May 9, 2013
La democrazia del WEB è demagogia
Si sente ripetere all'infinito che la democrazia rappresentativa è male, che i cittadini devono essere coinvolti nella presa delle decisioni, in una "democrazia diretta del web". Niente di male in questa affermazione. Peccato che la realizzazione di questo programma non è realisticamente possibile.
Il meccanismo è sempre lo stesso: quando qualcosa sembra evidente è il momento di approfondire e, di solito, si scopre che, tolta la patina superficiale, ci sono problemi che devono essere affrontati e che possono essere insormontabili.
Il problema nell'affermazione che apre questo post non è certo una delle più difficili da esaminare. Una delle caratteristiche che segna la differenza tra le società primitive e quelle meno primitive è la specializzazione degli individui, perché chi sapeva costruire gli strumenti per coltivare non aveva il tempo di dedicarsi alla caccia, e cose del genere. La specializzazione portò a migliorare le tecnologie tanto che la società ha cominciato a evolvere esponenzialmente. Oggi la sua complessità è tale che nessuno la può comprendere nella sua interezza. Le conseguenze delle azioni sono spesso imprevedibili visto che la complessità delle relazioni tra le varie componenti sfugge alla nostra capacità cognitiva.
Ora, chiedere a qualcuno opinioni su argomenti su cui non ha alcuna competenza è nella migliore delle ipotesi inutile, ma più probabilmente pericoloso. Il desiderio di partecipazione, la sensazione di diffusa democratizzazione, spesso pilotata dall'economia del consumo, la generalizzata e superficiale (perché non si sofferma ad approfondire) coscienza di sapere, portano a sopravvalutare, molto grossolanamente, le proprie capacità. Faccio un esempio personale. Anni fa mi sono occupato di combattere la riforma universitaria del ministro Moratti, che reputo ancora uno stupro di ogni decenza, insuperato dalla riforma Gelmini. Da lavoratore precario della ricerca italiana, vedevo nella ricerca una grande opportunità per l'Italia, forse l'unica. Poi però qualcuno mi ha fatto notare che formare scienziati di alto livello in un paese che non ha le infrastrutture per permettere l'innovazione, aumenterebbe l'emigrazione intellettuale. Pur essendo all'interno e considerandomi competente, non avevo colto tutta la complessità del problema.
Considerando anche il fenomeno di specchio, amplificato dal web (ovvero il fatto che qualunque opinione viene supportata nella rete e le persone tendono a confermare le proprie opinioni, più che metterle alla prova), una "democrazia del web" risulterebbe avrebbe due caratteristiche: 1) attirare un numero consistente di persone incompetenti e poco colte, in quanto sono quelle che pensano di sapere, 2) (come conseguenza) allontanare le persone di "buona volontà" e intelligenti (nel senso che sanno di non sapere). Questo aumenterebbe il rischio di una estremizzazione delle posizioni politiche, con possibili sbocchi totalitari.
La democrazia diretta esiste in Svizzera. Certo non è la democrazia del web. Ha regole molto rigide per indire i referendum e sfrutta il fatto che la società Svizzera è molto conservatrice, quindi quasi tutti i referendum falliscono. La popolazione non avrà mai le competenze necessarie per contribuire in modo costruttivo alla legislazione. Si muove inseguendo emozioni di base, non ha la visione complessiva, non pianifica a lungo termine (non che i nostri politici siano meglio, ma dovrebbero esserlo, non devono essere la fotocopia del popolo). Questa è la ragione principale per cui i movimenti populistici mi fanno di solito incazzare.
Il meccanismo è sempre lo stesso: quando qualcosa sembra evidente è il momento di approfondire e, di solito, si scopre che, tolta la patina superficiale, ci sono problemi che devono essere affrontati e che possono essere insormontabili.
Il problema nell'affermazione che apre questo post non è certo una delle più difficili da esaminare. Una delle caratteristiche che segna la differenza tra le società primitive e quelle meno primitive è la specializzazione degli individui, perché chi sapeva costruire gli strumenti per coltivare non aveva il tempo di dedicarsi alla caccia, e cose del genere. La specializzazione portò a migliorare le tecnologie tanto che la società ha cominciato a evolvere esponenzialmente. Oggi la sua complessità è tale che nessuno la può comprendere nella sua interezza. Le conseguenze delle azioni sono spesso imprevedibili visto che la complessità delle relazioni tra le varie componenti sfugge alla nostra capacità cognitiva.
Ora, chiedere a qualcuno opinioni su argomenti su cui non ha alcuna competenza è nella migliore delle ipotesi inutile, ma più probabilmente pericoloso. Il desiderio di partecipazione, la sensazione di diffusa democratizzazione, spesso pilotata dall'economia del consumo, la generalizzata e superficiale (perché non si sofferma ad approfondire) coscienza di sapere, portano a sopravvalutare, molto grossolanamente, le proprie capacità. Faccio un esempio personale. Anni fa mi sono occupato di combattere la riforma universitaria del ministro Moratti, che reputo ancora uno stupro di ogni decenza, insuperato dalla riforma Gelmini. Da lavoratore precario della ricerca italiana, vedevo nella ricerca una grande opportunità per l'Italia, forse l'unica. Poi però qualcuno mi ha fatto notare che formare scienziati di alto livello in un paese che non ha le infrastrutture per permettere l'innovazione, aumenterebbe l'emigrazione intellettuale. Pur essendo all'interno e considerandomi competente, non avevo colto tutta la complessità del problema.
Considerando anche il fenomeno di specchio, amplificato dal web (ovvero il fatto che qualunque opinione viene supportata nella rete e le persone tendono a confermare le proprie opinioni, più che metterle alla prova), una "democrazia del web" risulterebbe avrebbe due caratteristiche: 1) attirare un numero consistente di persone incompetenti e poco colte, in quanto sono quelle che pensano di sapere, 2) (come conseguenza) allontanare le persone di "buona volontà" e intelligenti (nel senso che sanno di non sapere). Questo aumenterebbe il rischio di una estremizzazione delle posizioni politiche, con possibili sbocchi totalitari.
La democrazia diretta esiste in Svizzera. Certo non è la democrazia del web. Ha regole molto rigide per indire i referendum e sfrutta il fatto che la società Svizzera è molto conservatrice, quindi quasi tutti i referendum falliscono. La popolazione non avrà mai le competenze necessarie per contribuire in modo costruttivo alla legislazione. Si muove inseguendo emozioni di base, non ha la visione complessiva, non pianifica a lungo termine (non che i nostri politici siano meglio, ma dovrebbero esserlo, non devono essere la fotocopia del popolo). Questa è la ragione principale per cui i movimenti populistici mi fanno di solito incazzare.
Tuesday, May 7, 2013
Perché odio i guanti di plastica nel reparto frutta
![]() |
http://www.flickr.com/photos/maurillio/ |
L'inutilità deriva dal fatto che la frutta e la verdura vanno lavate comunque, quindi non si capisce perché il tocco di qualche altro cliente del supermercato debba essere così disdicevole mentre le mani, i mezzi, le macchine, e chissà cos'altro, che la frutta attraversa lontano dalla nostra vista siano accettabili. Per il pane, di solito si mettono a disposizione delle pinze, magari legate con delle catenine se pensiamo che qualcuno se le possa mettere in tasca.
Tra l'inutilità e il fastidio metto il problema del rifiuto che si viene ad accumulare e che va gestito.
Nel puro fastidio metto un senso di distanza, uno snobismo ingiustificato, che la diffidenza nell'altro dimostra. Non sono un sudicio, e credo che gli avanzamenti delle pratiche sanitarie siano stati meravigliosi. Ma data l'inutilità della pratica, non vedo altra ragione nel fatto che in Italia si usano questi guanti che un senso di distacco tra le persone, di diffidenza a priori, fino ad arrivare al disprezzo. C'è un film, Crash, in cui la endemica mancanza di contatto tra gli individui nella società spinge, inconsciamente, le persone ad avere incidenti automobilistici, giusto per poter scendere dalla macchina e avvicinarsi a qualcuno. Non posso non pensare a questo film ogni volta che vado al supermercato.
C'è anche, a mio parere, anche una mancanza nel rapporto tra gli individui e il proprio corpo, la propria natura fisica, dovuta forse a una paura diffusa e alla convinzione profonda di non appartenere al mondo animale (e ci sono qui delle responsabilità storiche). La nostra pelle è coperta da un numero enorme di batteri, alcuni buoni, altri dannosi, li abbiamo sia se decidiamo di toccare qualcosa che no. Gli italiani mettono i guanti per prendere la frutta al supermercato, ma toccano il denaro con tranquillità, e la tastiera del computer, e molti altri oggetti, ma sapere che c'è qualcun altro della nostra specie che tocca la zucchina che poi finisce nel proprio carrello diventa, per qualche ragione, insopportabile.
In sintesi, direi che l'usanza dei guanti al supermercato è dovuta al solito individualismo degli italiani e alla idealizzazione di sé.
Concludo con una recente esperienza personale. A Londra le persone non ti parlano tanto, ma ti aiutano senza chiedere il permesso e quando hanno finito se ne vanno magari senza nemmeno salutare. A Londra spesso non trovi le tovaglie nei ristoranti, e i prodotti nei supermercati sono spesso scaduti o in pessimo stato, si mettono le scarpe senza i calzini e abbinano i colori con una creatività che è difficile capire. Non ci sono i guanti di plastica nel reparto frutta, ma nessuno si è mai posto la questione.
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Thursday, March 14, 2013
Il Duro Lavoro
Di solito si dice che le generazioni precedenti le nostre hanno lavorato duro, hanno sudato, hanno fatto sacrifici, e che la propria generazione, e quelle successive, non vogliono lavorare così duramente e non sono disposte a fare quei sacrifici. Visto che la qualità della vita è migliorata negli ultimi secoli, è probabile che sensazioni del genere siano state comuni a molte generazioni precedenti, quindi direi di non stare qui a sentenziare sulla veridicità di queste affermazioni.
C'è un aspetto del duro lavoro che mi pare non sia sottolineato abbastanza. Le persone che stimiamo, per una ragione o per un'altra, di solito hanno fatto o stanno facendo un duro lavoro [1]. Scrittori, artisti, attivisti, volontari, genitori, figli. Persone che stimiamo perché fanno più di quello che gli viene richiesto, o lo fanno meglio, o lo fanno per un motivo nobile, o semplicemente perché non possono fare a meno di farlo. Queste persone hanno dato o stanno dando un contributo.
C'è differenza tra dare un contributo e, che ne so, allungare qualche spicciolo a un mendicante. Questo è il motivo per cui ci si sente sempre un po' in colpa quando si dà (o non si dà) lo spicciolo, mentre ci si sente fieri, o almeno in pace con sé stessi, quando si contribuisce a qualcosa. Ma il contributo richiedere il duro lavoro, richiede energia, tempo, perseveranza, e un sacco di altri sostantivi. Non si può scampare al duro lavoro, sarebbe come voler spingere l'auto un panne senza fare fatica: è fisica. Per definizione un contributo porta a un cambiamento, e un cambiamento richiede energia, di qualche tipo, si parla per metafore, ma non troppo.
Il contributo si può cercare di darlo nel mondo del lavoro, oppure nella parte di vita al di fuori del mondo del lavoro. In entrambi i casi serve un obiettivo e la dedizione di dedicargli le proprie energie, anche quando la stanchezza sembra prendere il sopravvento, anche quando sembra che non serva. Le pause sono ammesse, e anche i dubbi, i cambi di rotta. L'importante è non diventare passivi estimatori di altri e credere di avere qualcosa a cui contribuire. Ci sarà pure qualcosa, no?
[1] Escludo le persone che "stimano" la vacuità, convertendo l'invidia del successo in idolatria demente. Per fare un esempio concreto potrei fare gli esempi Paris Hilton e Fabrizio Corona.

C'è differenza tra dare un contributo e, che ne so, allungare qualche spicciolo a un mendicante. Questo è il motivo per cui ci si sente sempre un po' in colpa quando si dà (o non si dà) lo spicciolo, mentre ci si sente fieri, o almeno in pace con sé stessi, quando si contribuisce a qualcosa. Ma il contributo richiedere il duro lavoro, richiede energia, tempo, perseveranza, e un sacco di altri sostantivi. Non si può scampare al duro lavoro, sarebbe come voler spingere l'auto un panne senza fare fatica: è fisica. Per definizione un contributo porta a un cambiamento, e un cambiamento richiede energia, di qualche tipo, si parla per metafore, ma non troppo.
Il contributo si può cercare di darlo nel mondo del lavoro, oppure nella parte di vita al di fuori del mondo del lavoro. In entrambi i casi serve un obiettivo e la dedizione di dedicargli le proprie energie, anche quando la stanchezza sembra prendere il sopravvento, anche quando sembra che non serva. Le pause sono ammesse, e anche i dubbi, i cambi di rotta. L'importante è non diventare passivi estimatori di altri e credere di avere qualcosa a cui contribuire. Ci sarà pure qualcosa, no?
[1] Escludo le persone che "stimano" la vacuità, convertendo l'invidia del successo in idolatria demente. Per fare un esempio concreto potrei fare gli esempi Paris Hilton e Fabrizio Corona.
Monday, March 11, 2013
Diffidare dell'estetica
(There might be some extra commas to make google translate do a better job. Hopefully the post can then be understood also in English)
Di nuovo questa stupida evoluzione. Vediamo dei colori sgargianti, delle luci sfavillanti, e subito siamo irrorati da melanotropina. Non è poi tanto il problema chimico in sè, è che poi quando l'effetto sparisce, non le vediamo nemmeno più quelle luci e colori. Facciamo l'esempio della tecnologia. Compriamo l'ultimo strepitoso tablet, con la grafica più fluida e spettacolare finora raggiunta, e dopo una settimana lo usiamo solo per leggere email e postare minchiate su facebook. Lo diamo per scontato. Giochiamo con i videogiochi più avanzati e dopo pochi giorni non ci accorgiamo più degli effetti fino a pochi mesi fa impensabili.
Di nuovo questa stupida evoluzione. Vediamo dei colori sgargianti, delle luci sfavillanti, e subito siamo irrorati da melanotropina. Non è poi tanto il problema chimico in sè, è che poi quando l'effetto sparisce, non le vediamo nemmeno più quelle luci e colori. Facciamo l'esempio della tecnologia. Compriamo l'ultimo strepitoso tablet, con la grafica più fluida e spettacolare finora raggiunta, e dopo una settimana lo usiamo solo per leggere email e postare minchiate su facebook. Lo diamo per scontato. Giochiamo con i videogiochi più avanzati e dopo pochi giorni non ci accorgiamo più degli effetti fino a pochi mesi fa impensabili.
Ma allora cosa resta? Vorrà mica dire che tutto è effimero?
L'ipotesi che mi pare migliore, è che se ci limitiamo al primo livello di esperienza sensoriale, allora la risposta è sì, tutto è effimero, nulla resiste, e il bisogno di stimoli alimenta il desiderio. Ma se passiamo a un livello superiore allora non è così. Comprai un quadro anni fa, di un artista di San Antonio, TX. Mostra due ballerini di flamenco, lui in grigio, lei in blu, il tutto su una spirale che si espande dal centro. Comprai quel quadro perché, mentre lo sfondo e i corpi stessi dei ballerini sono costituiti da una sola linea, il vestito della ballerina è più articolato, e da quel vestito, scaturito dal movimento, un piccolo vortice si stacca e intacca l'uniformità dello sfondo. Quel dettaglio, in basso, leggermente a destra, che passa quasi sempre inosservato a chi guarda l'immagine, è il motivo per cui ancora oggi sono soddisfatto del mio acquisto. Quel dettaglio, per me, è un simbolo, e come tale ha e avrà significato fino a lo riconosco come tale, quando indi ben oltre la bellezza.
Tutto questo è quasi sicuramente ovvio a chi legge qui. Ma c'è un fatto preoccupante. L'economia dei beni di consumo si basa esclusivamente sul primo livello di esperienza sensoriale, e sul fatto che una grossa fetta della popolazione non va molto al di là di questo. Non sto facendo un discorso elitario. Io stesso, più o meno volontariamente a seconda dei casi, compro cose sottomettendomi passivamente ai miei ormoni. Vorrei solo far notare che siamo succubi dei nostri istinti molto più di quanto di solito vogliamo ammettere, ma che, qualche volta, possiamo davvero essere umani in modo più nobile, possiamo essere istanze della consapevolezza di essere qualcosa di più, come fa la ballerina nel mio quadro che, ballando, perturba l'indifferenza del mondo.

Tutto questo è quasi sicuramente ovvio a chi legge qui. Ma c'è un fatto preoccupante. L'economia dei beni di consumo si basa esclusivamente sul primo livello di esperienza sensoriale, e sul fatto che una grossa fetta della popolazione non va molto al di là di questo. Non sto facendo un discorso elitario. Io stesso, più o meno volontariamente a seconda dei casi, compro cose sottomettendomi passivamente ai miei ormoni. Vorrei solo far notare che siamo succubi dei nostri istinti molto più di quanto di solito vogliamo ammettere, ma che, qualche volta, possiamo davvero essere umani in modo più nobile, possiamo essere istanze della consapevolezza di essere qualcosa di più, come fa la ballerina nel mio quadro che, ballando, perturba l'indifferenza del mondo.
Tuesday, February 12, 2013
Imbarazzi (quello che si chiama "a bit")
Mi chiedo: non è imbarazzante comprare i biglietti della lotteria, i gratta e vinci, giocare al lotto? Quando prendo il piccolo tagliandino e do i soldi al cassiere è come se gli dicessi: "guarda, non ho nessuna possibilità di farcela nel mondo reale, non riuscirei a competere e vincere e ottenere ricchezza e prestigio, quindi, ehm, questo è tutto quello che mi viene in mente per riuscire a migliorare la mia situazione, mi spiace, mi può comprendere?"
Faccio fatica a comprare i gratta e vinci se c'è qualcuno in coda dietro a me e balbetto cose, "ehm, ecco, vorrei... vorrei un b... sa, uno di quei... dei profilattici! ha dei profilattici?" che è sempre imbarazzante ma almeno dimostro di avere in corso delle attività vicine alla riproduzione, uno degli scopi principali della vita. Certo, non vado fino in fondo nemmeno lì, ma la probabilità di riprodurmi così è sicuramente maggiore di quella di vincere un milione di euro grattando con una monetina una sostanza argentata da un cartoncino.
Faccio fatica a comprare i gratta e vinci se c'è qualcuno in coda dietro a me e balbetto cose, "ehm, ecco, vorrei... vorrei un b... sa, uno di quei... dei profilattici! ha dei profilattici?" che è sempre imbarazzante ma almeno dimostro di avere in corso delle attività vicine alla riproduzione, uno degli scopi principali della vita. Certo, non vado fino in fondo nemmeno lì, ma la probabilità di riprodurmi così è sicuramente maggiore di quella di vincere un milione di euro grattando con una monetina una sostanza argentata da un cartoncino.
Monday, July 23, 2012
Cattive compagnie
Difficile concentrarsi in autobus quanto basta per leggere "Evolutionary Epistemology." Non sono i sobbalzi, le accelerazioni o il rumore monotono, sono le persone che parlano a volumi da megafono da soli, o meglio al telefono. In particolare, stasera, una ragazza che raccontava di non so cosa, quelle frasi del tipo: "i miei mi hanno detto che mi regalano 'sta cosa ma io gli ho detto 'siete sicuri? e loro non hanno detto più niente hahahaha" il tutto condito con molta enfasi, che rendeva la cosa, se possibile, ancora più snervante. La telefonata si è dilungata per un tempo apparentemente illimitato. Le mie telefonate durano di solito meno di 15 secondi: arrivo, ritardo, puoi fare questo, ci vediamo tra poco. Quando aspetti che qualcuno finisca di telefonare per fare qualcosa (nel mio caso leggere in santa pace) il tempo si dilata e ogni ripetizione di una parola, di una frase, di un concetto, diventa il movente per il danneggiamento aggravato di proprietà privata. Un altro tizio, salito una fermata dopo, aveva una cadenza particolarmente insopportabile. Stava spiegando a qualcuno che qualcun altro aveva passato un brutto periodo e che lo avrebbe visto da lì a poco. Fortunatamente lo aveva sentito meglio che qualche giorno prima. La cosa fastidiosa era che iniziava ogni frase a volume altissimo e finiva volume basso, costringendomi a vere e proprie acrobazie di attenzione. Qui la ripetitività era geriatrica, mentre il tizio e, probabilmente, quello con cui conversava erano sì e no ventenni, non so se per mancanza di campo o per semplice rincoglionimento dei soggetti interessati. Per altro non credo di violare nessuna privacy in questa cronaca, visto che i suddetti della loro privacy pare interessasse molto poco. Successivamente, attraversando la stazione ferroviaria, tre ragazze impegnate in altrettante conversazioni telefoniche una accanto all'altra su una panchina, un ragazzo che si ascoltava la musica sfondandosi le orecchie con musica pop, altri che evidentemente giocavano a qualche videogioco.
Non è certo la prima volta che noto questo, e non sono né il primo né l'ultimo, ma oggi, dato un periodo di maggiormente acuita misantropia, mi sono ricordato di annotare come tutto questo grande sfoggio di appendici a batteria non significhi che una cosa sola: le persone detestano stare in propria compagnia. Proprio non possono stare sole nemmeno per pochi minuti, devono per forza occupare il loro cervello con qualcosa di totalmente e banalmente inutile. Il fatto che si lobotomizzino potrebbe anche essere irrilevante se non fosse per due aspetti particolarmente seri. Il primo. questi individui fanno parte della società in cui vivo anch'io, quindi polis futtutis, contribuiscono a forgiare l'ambiente in cui vivo anche dal punto di vista formale. Il secondo, più immediato, mi rompono le palle quando voglio stare un po' con me stesso.
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